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Perché il calcio fa bene alle ragazze

Quelle che il calcio. Quelle che lasciano i mariti a casa per andare alla partita di pallone. L’Europa è impazzita per il calcio in rosa: stadi pieni, dirette tv e centinaia di migliaia di giocatrici ne fanno il primo sport a squadre femminile del vecchio continente. Si è passati dalle 239mila calciatrici dell’85 al milione e 270mila del 2011, e sono stati battuti due record di spettatori in pochi mesi: in Champions League, con i 50.212 che il 17 maggio hanno riempito l’Olympiastadion di Monaco per Lione-Francoforte, alle Olimpiadi, con gli 80.203 che il 9 agosto hanno assistito a Wembley a Usa-Giappone. Tutto molto bello, sì, ma solo a certe latitudini. I dati del 2012 forniti dalla Uefa, l’associazione del calcio europeo, dicono che la Germania è la regina del pallone femminile (250mila giocatrici), seguita da Norvegia (110mila), Svezia (89.980), Inghilterra (89.640), Olanda (81.993), Danimarca (77.889), Turchia (63.513), e Francia (58.350). L’Italia è al 13esimo posto con 22.743 calciatrici, ma in rapporto alla popolazione sarebbe ancora più giù, visto che Svizzera, Belgio e Repubblica Ceca hanno quasi lo stesso numero di iscritte. Ma non eravamo un Paese di calciatori (oltre che di allenatori della Nazionale)? Per capire meglio che cos’è il calcio femminile in Italia siamo andati a Mozzanica, 4.621 anime in provincia di Bergamo. È un sabato pomeriggio di ottobre. Patrizia Panico tira su i calzettoni. Quattro compagne di squadre la aspettano per il riscaldamento. Se vivesse in Germania o Francia Patrizia Panico (accento sulla “i”) sarebbe una star. Sarebbe invitata in tv e nelle scuole e guadagnerebbe 3-4 volte tanto. Nata a Roma 37 anni fa, ha preso il posto di Carolina Moracecome simbolo del nostro calcio femminile. Undici volte capocannoniera della Serie A, ha segnato 500 reti in 550 partite, vincendo già otto scudetti. In Nazionale è la seconda bomber di sempre (96 reti, ma si sta avvicinando alle 105 della Morace), e soprattutto è il calciatore italiano con più presenze (178, contro le 136 di Fabio Cannavaro). Oggi Patrizia, capitano della Sassari Torres (da tre anni la squadra “ammazza-campionato”), gioca in trasferta contro il Mozzanica, che l’anno scorso si è piazzato quinto. In tribuna siedono 200 spettatori, tutti entrati gratuitamente (chi vuole può partecipare a una lotteria e vincere un cesto di vini). Non è proprio come giocare al Camp Nou di Barcellona, ma va bene lo stesso. «In Italia il livello è più basso, e la società ci considera solo dei maschiacci», dice Patrizia. A “prendersi cura” di lei oggi sarà Angela Locatelli, 24 anni, capitano del Mozzanica. Vorrebbe dedicare più tempo al pallone, ma non può. In Italia il calcio femminile è infatti dilettantistico. Significa che per campare devi trovarti un altro lavoro. Angela studia e dà una mano nella pasticceria di famiglia: «Da noi c’è chi guadagna 200, 500 euro al mese, nessuna supera i mille». Siccome tutte le giocatrici del Mozzanica studiano o lavorano, ci si allena tre volte a settimana, e di sera, che d’inverno non è proprio il massimo. E per le più forti c’è pure un tetto agli stipendi, 26.500 euro netti («I maschi di Serie A prendono milioni e non hanno tetto, noi invece sì», si lamenta Patrizia).

In tanti Paesi questo sport ha fatto passi da gigante. Ma è soprattutto a Berlino che si deve guardare. La Nazionale tedesca ha vinto due mondiali e sette dei dieci Europei mai giocati (due la Norvegia, uno la Svezia), i suoi club hanno conquistato sei su undici Champions (l’Italia non ha mai vinto). La Nazionale è seguita in tv da 14-16 milioni di persone, cancelliera Merkel inclusa.Il boom tedesco lo si è avuto dopo un ingente investimento della Federazione Calcio, la Dfb, che nel 2006 ha fornito 100mila palloni e 400mila magliette alle bambine di 22mila scuole elementari. Così ora esistono 5.486 società di calcio femminile, mentre in Italia ce ne sono poco più di 300. Ma torniamo ai numeri delle calciatrici in Europa. Tra i grandi Paesi, gli unici che si battono con noi nella “zona retrocessione” sono Spagna (21.609 giocatrici), Grecia (3.410) e Portogallo (1.743), tutte società in cui la donna ha trovato sempre più difficoltà ad affermarsi (anche se la Spagna sta cambiando). Che ci sia una correlazione?Manuela Tesse, della Torres, è una delle poche allenatrici donne della serie A, solo quattro su sedici. «Da noi quasi tutti gli sport femminili sono seguiti di meno, ma questo vale ancora di più per il calcio. Eppure noi siamo la parte pura». Sassarese, 36 anni, è un’ex colonna della Nazionale: «In Germania, Svezia i ritmi e l’attenzione sono diversi. Penso sia lo specchio della condizione della donna nella società, e sia legato anche al retaggio religioso. Nei Paesi del Nord, protestanti, la donna può dire messa ed è anche trattata con rispetto quando gioca a pallone».Della stessa opinione è Daniel Meuren, autore e giornalista sportivo della Frankfurter Allgemeine Zeitung: «L’emancipazione femminile, più avanzata nei Paesi protestanti, si riflette nello sviluppo del calcio. La questione religiosa è decisiva, e forse non a caso società atee comuniste producono ottime nazionali femminili, come Cina e Corea del Nord». In Germania, ci racconta, si allenano 5-6 volte a settimana: «Alcune sono inquadrate nella polizia e nei carabinieri, ma anche se hanno un lavoro la Federazione fa in modo che possano essere esentate prima dei grandi tornei».Più c’è emancipazione femminile, più le donne vengono trattate con rispetto nel calcio. E da noi, infatti, esiste più di un problema. Una giocatrice ha raccontato sul web degli insulti ricevuti da parte degli arbitri (maschi): «Perché gli arbitri spesso vivono come una “punizione” andare a dirigere una partita di donne», racconta Angela. Poi c’è una questione di sicurezza: «Solo da un anno è obbligatoria l’ambulanza a bordo campo». Quando ad aprile morì durante un match il calciatore Piermario Morosini per una crisi cardiaca, Patrizia Panico polemizzò e ottenne l’obbligo di un defibrillatore in campo anche nel calcio femminile. Infine c’è un problema di soldi. Per mancanza di fondi, ogni anno vengono trasmesse su RaiSport solo alcune partite del girone di ritorno del campionato femminile (mai menzionato però nei principali programmi sportivi).

Ma a chi può venire in mente di investire in un settore così? All’imprenditore edile Luigi Sarsilli, l’idea è venuta guardando giocare a pallone sua figlia. Si è appassionato, ha fondato il Mozzanica e l’ha portato dalla serie D alla A. «Il mio obiettivo è lo scudetto», sogna a occhi aperti a bordo campo, mentre vede la Torres travolgere le sue ragazze. «Certo non ci si guadagna», ammette, «e la Federazione italiana gioco calcio non ci mette un euro». Il calcio italiano maschile e femminile è organizzato dalla Figc, e si suddivide in professionistico e dilettantistico: al primo appartengono la Serie A, B e C maschili, al secondo le serie minori maschili e tutto il calcio femminile. Ma la situazione è in movimento. A settembre 38 presidenti, di cui 9 di A, hanno aderito all’Aicf, associazione che punta a staccare il calcio femminile dalla Lega dilettanti per passare direttamente sotto la Figc: «È mancata la volontà dei vertici del calcio italiano di far crescere questo sport», attacca il presidente dell’Aicf Roberto Salerno, «noi chiediamo i fondi della legge Melandri per gli sport svantaggiati». La Lega dilettanti, dal giugno 2011, è nelle mani di un commissario, Carlo Tavecchio, 69 anni, che replica: «La Figc ha investito più di quanto fosse necessario, nella Nazionale femminile. Per i campionati, invece, scontiamo il default economico del 1983 e quello del 2010. La legge Melandri? Sappia il signor Salerno che, dovessimo distribuire quei soldi, alle più di 300 società del calcio femminile andrebbero pochi spiccioli. E nei tre anni prima del default sono stati dati 300mila euro. Rimangano sotto la nostra Lega dilettanti, avranno un “dipartimento” autogestito, copriremo i 500mila euro del default, ne aggiungeremo 400mila, e ne chiederemo altri 200mila alla Fgci». La Nazionale femminile è stata affidata a maggio all’ex Campione del Mondo Antonio Cabrini. «Per gli Europei puntiamo ai primi posti, anche se in A solo 5-6 squadre sono di livello», dice. «Un consiglio alla Figc? Dovrebbe imporre alle società maschili di avere un settore giovanile per le bambine. Come l’Arsenal, il Barcellona o il Lione». Mozzanica-Torres finisce 0 a 4. Dopo il fischio la pasticceria del papà di Angela offre due vassoi di paste. Patrizia Panico è andata a segno con un bel gol in pallonetto. In tuta, a bordo campo, si dice soddisfatta del risultato («Ma il Mozzanica non meritava di prendere quattro gol»), meno della propria prestazione: il duello tra la campionessa e la pasticciera è stato più duro del previsto. Ora, però, via a studiare. Le mancano pochi esami per laurearsi in Scienze della Comunicazione. «Vorrei fare la giornalista sportiva, ma sarà dura», dice. E il futuro del calcio femminile, come lo vede? «Tantissime donne sono appassionate tifose del calcio maschile. Perché non dovrebbero seguire anche quello femminile? Il mercato c’è. Anche perché, in fondo, in Italia noi donne siamo la maggioranza, non dimentichiamolo mai».

( Articolo originale: http://d.repubblica.it/argomenti/2012/11/02/news/donne_calcio_sport-1332683/ )

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